Published on Polpettas On Paper magazine
Nel quartiere Città Studi a Milano si trova Casa Fornasetti, il cuore pulsante del brand italiano, dove si pensa, si crea, si disegna, si comunica, e dove Barnaba Fornasetti vive. Entrando dal giardino nel cortile interno, attraversando il suo studio, salendo per la scala costeggiata dal profilo di Gerusalemme, girando l’angolo e camminando sui listelli di parquet decorati con motivi geometrici – tutto rigorosamente firmato Fornasetti – si arriva alla sala della musica, regno indiscusso di Barnaba.
Al primo piano, una parete stipata di vinili e cd la fa da padrona, lasciando il posto al centro al mix, anima di tante feste milanesi. E mentre mille volti disegnati, dipinti e scolpiti ci tengono d’occhio, Barnaba si racconta, loquace, a tratti divertito e divertente.
Buongiorno Barnaba, oggi come stiamo?
Bene, grazie. Quando devo fare un’intervista, a dire il vero, sono sempre un po’ preoccupato.
Ride.
A che ora ti sei alzato?
Presto. Un tempo non ero mai al lavoro prima delle 10, cosa a cui ormai i miei collaboratori erano abituati: sono sempre stato un animale notturno. In realtà lo sono tutt’ora, solo che adesso dormo meno.
Hai una routine quotidiana?
No e le mie giornate non sono mai del tutto pianificabili. L’unica routine è quella mattiniera. Ogni giorno ascolto le notizie alla radio e faccio colazione in cucina prima di immergermi nel lavoro. L’80% del mio tempo è suddiviso tra Casa Fornasetti, dove abito e dove risiede il quartier generale, l’Atelier e il Fornasetti Store.
Da dove sei appena tornato?
Dalla Latteria San Marco, dove pranzo quasi sempre e dove spesso, come oggi, organizzo degli incontri di lavoro. È una vecchia trattoria con un’atmosfera familiare che amo molto e che è per me una sorta di estensione di casa.
Parlando di spostamenti, come preferisci viaggiare?
In città, prediligo la bicicletta e prendo la macchina solo se si tratta di tratti lunghi o se devo trasportare qualcosa. Fuori città, apprezzo di più il treno. Comincio a sopportare meno i viaggi in aereo.
Che cos’è per te il weekend?
È un momento in cui mi concedo del tempo per me, in cui rilassarmi e incontrare amici.
Fosse per me, abolirei le feste comandate e i fine settimana, darei la possibilità a ciascuno di scegliere quando riposare e quando no. Ti immagini come diminuirebbero le code in autostrada, il traffico e lo stress? Appare provocatorio, eppure non scherzo: il modello attuale andrebbe ripensato.
Che rapporto hai con la tua città, Milano: ti capita più spesso di uscire o di invitare le persone a casa?
Mi piace molto organizzare e partecipare alle cene: sono i momenti in cui scambiare idee e pareri.
La tua casa è anche sede degli uffici e dello studio creativo dell’azienda, con cosa identifichi la privacy?
La mansarda di Casa Fornasetti è l’unico spazio dedicato esclusivamente a me, alla mia vita privata. Eppure, ti dirò la verità, non ho un senso della privacy così pronunciato e considero i miei collaboratori legittimi abitanti di Casa Fornasetti. Privacy per me significa più che altro tempo che dedico esclusivamente a me, di solito tra giardinaggio e nuoto – sono, fra l’altro, i momenti in cui ho le idee migliori.
Come descriveresti Casa Fornasetti a qualcuno che non c’è mai stato?
Casa Fornasetti è espressione piena del mondo Fornasetti, del suo immaginario, della sua vivacità e della sua storia. Oggi è una casa, un ufficio, un archivio e un luogo in cui creatività e idee circolano liberamente.
Cosa avresti fatto se non fossi stato figlio di Piero Fornasetti?
Non lo so: non è sempre possibile scegliere, se non cogliere alcune occasioni oppure lasciarle andare. Facendo uno sforzo d’immaginazione, cosa avrei fatto? Qualcosa di radicalmente diverso, sempre in ambito creativo… Il danzatore, probabilmente. O il musicista.
Quale specializzazione hai seguito a Brera? Ai tempi dell’Accademia, cosa volevi fare da grande?
Ho cambiato idea molte volte: da giovanissimo volevo fare il designer di auto. Poi a Brera ho scelto l’indirizzo decorazione e all’inizio della mia carriera, ho dipinto – cosa che, fra l’altro, mi piacerebbe riprendere a fare. Anche negli anni in cui ho collaborato con Ken Scott nel suo studio creativo, accanto a questa attività, dipingevo, come libero artista.
Poi ho deciso di lasciare Milano e anche la pittura: desideravo sperimentare e ho deciso di trasferirmi nella campagna toscana dove mi sono dedicato alla ristrutturazione di casali.
La presenza di tuo padre è forte, c’è qualcosa qui in casa che hai realizzato tu?
Sì, un collage dipinto, c’è una farfalla. E qualcos’altro più astratto. Risalgono a molto tempo fa: il collage doveva diventare la copertina di un disco che stavano realizzando degli amici musicisti, poi non è andata in porto per questioni di marketing.
[To be continued]
Interview by Margherita Visentini and photography by Federico Ciamei. Published on Polpettas On Paper #4.